C’era una svolta

Roberto Beccantini30 novembre 2011

Dal ritorno in serie A, mai la Juventus aveva rimontato per due volte, nel corso della stessa partita, un doppio svantaggio. L’unico precedente risaliva all’11 novembre 2007: Parma-Juventus da 2-0 a 2-2. In compenso, si sprecano le rimonte a rovescio. Stagione 2009-2010: con il Napoli in casa da 2-0 a 2-3 e, sempre in casa, con il Siena (da 3-0 a 3-3, addirittura). Stagione 2010-2011: a Cesena, con Catania e Chievo da 2-0 a 2-2.

Il campionato non è più lento come in avvio. Ha cambiato passo: la Juventus lo guida con 26 punti, quanti ne aveva il Milan un anno fa. La squadra di Allegri viene da sei vittorie e un pareggio; quella di Conte, da quattro successi e il 3-3 del San Paolo. Le «fotte» delle difese hanno reso divertente l’ordalia. Mancavano i cinque gol di Cavani e i cinque di Marchisio: Pandev e Pepe, i sostituti di ruolo e di fatto, ne hanno portati tre.

Il peso dell’Europa ha orientato la trama: nel secondo tempo, non a caso, il Napoli è calato e la Juventus cresciuta. E così: per Mazzarri, bicchiere mezzo vuoto; per Conte, mezzo pieno. Trovo legittimo criticare Bonucci e Chiellini, ma prima di fucilarli pensiamoci: alternative in giro per il mondo? Avevo scritto: saranno i Palermo e i Napoli a marcare i confini della nuova Juventus. Bene: Palermo battuto dopo tre sconfitte consecutive a Torino, Napoli «pareggiato» dopo quattro ko. Non è ancora una grande squadra, la Juve, né potrebbe esserlo vista la rosa. Grande è il segnale (di arrosto, e non di fumo) lanciato da Napoli.

Per concludere, il rigore di Pirlo su Lavezzi (netto). Facendolo ripetere, Tagliavento ha applicato il regolamento. Ma poiché non tutti e non sempre lo applicano, propongo all’International Board che l’eventuale bis scatti, esclusivamente, quando il difendente o l’attaccante entrato in area prima del tempo tragga vantaggio effettivo dall’ingresso anticipato.

Il fattore Ibra

Roberto Beccantini28 novembre 2011

Rispetto a un anno fa, il Milan ha due punti in meno e sei gol in più. Ha mandato a segno tredici giocatori, contro gli otto della Juventus, che nel girone di ritorno ospiterà a San Siro. Se confrontiamo le rose, non c’è paragone. Tanto che al mercato di gennaio dovrà muoversi più Marotta che Galliani: questo, almeno, suggerisce la logica. La Juve deve fare fronte all’esubero di esterni e attaccanti, nonché alla carenza di centrali difensivi e centrocampisti. Non ha soldi, dovrà prima vendere. Conte è sceso dal 4-2-4 per salire di corsa sul 4-3-3. La classifica si spiega con il gioco e la rabbia sprigionati da una formazione molto fissa, quasi tipo. Il vantaggio è un’onta: l’Europa negata. Si parla di Montolivo, classe 1985: ha colpi nascosti all’interno di una carriera troppo altalenante. Può giocare in tutti i ruoli del centrocampo, ma proprio per questo rimane in bilico fra l’eclettico e il generico. In Sud Africa, fu il meno peggio di una Nazionale eliminata già nella fase a gironi. Insomma: utile, non determinante. Ma di «determinanti» disponibili non ne vedo.

Al Milan piace Tevez: così dicono, così leggo. Se Cassano è perso per il resto della stagione, Allegri può sempre contare su Ibrahimovic, Pato, Robinho, El Sharrawy e Inzaghi. Non discuto il valore di Tevez: discuto la necessità di arruolarlo, tanto più che in Champions non sarebbe utilizzabile. Perché allora non Amauri, tutt’altro genere di punta, ma impiegabile ovunque?

A meno che Galliani non abbia paura della Juventus (ne dubito fortemente). O tema che, per la legge dei grandi numeri, prima o poi Ibra faccia flop. Perché sì, la differenza resta Zlatan. Nel 2004, la Juventus era arrivata terza: prende Ibra, due scudetti (poi revocati). Nel 2006, l’Inter era arrivata terza: prende Ibra, tre scudetti. Nel 2010, il Milan era arrivato terzo: prende Ibra, scudetto. Coincidenze? Io dico di no, voi?

Ho creato dei mostri

Roberto Beccantini24 novembre 2011

Qualcosa si muove. All’atto del sorteggio di Champions, si disse e si scrisse: Milan facile facile, Inter facile, Napoli difficile. L’impresa, per ora e sinora, è di Walter Mazzarri e del suo calcio all’italiana, capaci di mettere in riga il Manchester City, primo e solo in Inghilterra. Su Roberto Mancini, resisto e insisto: giocatore sottovalutato, allenatore sopravvalutato. Pochi possono permettersi di scrivere a Gesù bambino e trovare sotto l’albero, non necessariamente a Natale, tutti i balocchi invocati, da Dzeko ad Aguero. E comunque, mai uno in meno; al massimo, uno in più.

Il Barcellona resta di un’altra categoria. Lo ha dimostrato anche a San Siro. Giocatori e gioco: a volte, prima questo; spesso, prima quelli. Essere di un’altra categoria non significa essere imbattibili. Il mordi e fuggi del Milan era la ricetta giusta. La stessa che impiegarono il Chelsea di Guus Hiddink, eliminato al 91′ da Iniesta, e l’Inter di José Mourinho, le squadre che più e meglio hanno scombussolato i piani di Pep Guardiola. Oggi, il Barcellona è più sazio e Messi-dipendente di quanto non lo fosse la scorsa stagione. Oggi, il Real di Mourinho è la squadra più vicina. Il Barça è palla corta e ricamare; il Real, palla bassa e accelerare. Pittura, il Barça; scultura, il Real.

Per concludere, una nota di costume (?). Mercoledì notte, Sky ha intervistato i tifosi del Milan all’uscita dallo stadio. Tutti ragazzi, quasi tutti contro l’arbitro (Stark, tedesco). Ebbene sì, di una partita così lontana dai nostri pollai, così ricca di talento, così fertile di occasioni, avevano colto il fiore di un rigore generoso, oh yes, ma non certo scandaloso. Abbiamo creato dei piccoli «mostri», schiavi delle moviole dettate per telefonino dal papi in poltrona. Mi ci metto anch’io. Siamo al Boskov parodiato e rovesciato: «Tifoso fazioso vede sentieri, dove altri solo autostrade».